venerdì 27 febbraio 2009

Le Origini di Pompei

Pompei ha origini antiche quanto quelle di Roma: infatti la gens pompeia proveniente dagli Oschi, uno dei primi popoli italici, nell'VIII secolo a. C., fondò e diede il nome al primo aggregato urbano. Luogo di passaggio obbligato tra il nord ed il sud, tra il mare e le interne ricche vallate, ben presto Pompei diventa importante nodo viario e portuale e, pertanto, ambita preda per i potenti stati confinanti.


Primo a sottomettere Pompei è lo Stato greco di Cuma. A questo, solo per il periodo tra il 525 e il 474 a. C., viene sottratta dagli Etruschi in piena espansione. Sul finire dei quinto secolo è conquistata dai Sanniti che dalla zona appenninica di lsernia dilagano prepotentemente verso il mare Tirreno.


Nel 310 a. C. anche i Sanniti vengono sconfitti dai Romani e, Pompei, è consociata al nuovo Stato. Ribellatasi con la Lega ltalica nell'89 a. C., viene espugnata da Silla, e pur salvandosi dalla distruzione, perde ogni residua autonomia divenendo Colonia Veneria Cornelia P. in onore del conquistatore. In questi seicento anni ogni popolo invasore trapianta i propri costumi e la propria arte a Pompei, soprattutto i Sanniti di cui restano, dopo quattro secoli di progressiva romanizzazione, impronte rilevanti nelle costruzioni e nell'arte.


LA PRIMA TRAGEDIA E LA FINE. Nonostante tante travolgenti vicissitudini politiche, Pompei continuò incessantemente il suo sviluppo da modesto centro agricolo a importante nodo industriale e commerciale. La prima vera grande sciagura sopravviene con il terribile terremoto dei 62 d. C., che riduce la città a un cumulo di macerie. Solo l'indomita tenacia e la capacità dei cittadini superrstiti riescono ben presto a riattivare le attività industriali, commerciali ed a ricostruire la città semidistrutta. Già stanno provvedendo ad ultimare e ad ampliare i templi quando improvvisa sopraggiunge la seconda e irreparabile sciagura: il Vesuvio, da secoli considerato un vulcano spento e quindi ricco di vigneti e di ville rustiche e di residenze sontuose, il 24 agosto (per i naturalisti il 24 novembre) del 79 d. C., poco dopo mezzogiorno, si ridesta improvviso ed esplode con una potenza inesorabilmente distruttrice.

Plinio il Giovane, da Miseno, è testimone dello spaventoso spettacolo il cui aspetto e forma nessun albero può rappresentare meglio di un pino ne dà una descrizione impressionante scrivendo anche le vicissitudini e la fine tragica dello zio (Plinio il Vecchio) che, trascinato dalla passione scientifica, accorre con una nave ad osservare da vicino lo spaventoso fenomeno e muore per soccorrere e rincuorare l'amico Pomponiano. Rapidamente sulle fiamme che salgono altissime si distende una immensa e nera nuvola che oscura il sole. Un diluvio di lapilli e scorie incandescenti si riversa su Pompei. Crollano mura e tetti e poi un'ondata di cenere mista ad acqua, cancella ogni forma di vita. Nel buio continuo la scena apocalittica è esaltata dai fulmini, terremoti e maremoti; i pochi superstiti che cercano scampo verso Stabia e Nocera vengono raggiunti e uccisi dai gas velenosi che si propagano ovunque. Questo inferno dura tre giorni e poi tutto è silenzio. Una coltre di morte, con cinque o sei metri di spessore, si stende da Ercolano a Stabia.